giovedì 3 settembre 2015

Lo sviluppo dell'empatia

Generalmente definiamo empatia, la capacità di immedesimarsi e comprendere le emozioni di un’altra persona. La parola deriva dal greco “εμπαθεία” (empatéia, composta da en-, "dentro", e pathos, "sofferenza o sentimento"), significa, appunto, “sentire dentro”.

Il modello di sviluppo di Martin Hoffman è considerato uno dei più esaustivi modelli di sviluppo dell’empatia. L'autore articola l’empatia in diverse capacità e competenze che, con il procedere dello sviluppo, diventano sempre più mature e sofisticate. In questo modello, la componente affettiva e la componente cognitiva interagiscono costantemente, e, in ciascuno stadio evolutivo, includono la motivazione ad agire positivamente in modo da alleviare il disagio altrui.

I primi segnali di empatia, appaiono sorprendentemente presto. Fin dalle primissime ore di vita sono osservabili nei neonati delle reazioni di distress empatico globale. Nei primi mesi di vita, i neonati non sono in grado di percepire se stessi e gli altri come entità distinte; percepiscono la sofferenza di qualcuno, come se fosse una propria l’emozione. L’empatia, in tale fase, si connota come una reazione affettiva, automatica e involontaria, che prende il nome di contagio emotivo ( ad esempio il pianto mostrato dai neonati in risposta al pianto di altri neonati).

Intorno al primo anno di vita, i bambini cominciano a percepire una prima distinzione tra sé e l’altro, e ad attribuire alle espressioni facciali un particolare significato. In questa fase, definita fase di distress empatico egocentrico, i bambini mimano le emozioni provate dall’altro, ma sono azioni finalizzati ad attenuare il proprio stato di angoscia, adottando condotte auto consolatorie come ad esempio succhiarsi il pollice o accarezzarsi.
Dal secondo anno, i bambini  sono consapevoli dei vissuti degli altri e sono, inoltre, in grado di identificare specifiche situazioni che possono provocare specifici vissuti emotivi nell’altro. Hoffman parla di sofferenza empatica quasi-egocentrica, la quale si caratterizza con l’aiutare l’altro. E’ questo il caso di un bambino di 2 anni e mezzo, che nel momento in cui porge un giocattolo ad un compagno che piange, sembrerebbe dimostrarsi consapevole che egli sta provando un’emozione negativa. Il bambino ha imparato ad attivare comportamenti che riguardano il contatto fisico: carezze, baci, abbracci, aiuto fisico, ed altri comportamenti tesi ad aiutare e consolare l’altro.

Intorno al terzo anno di vita si sviluppa in modo più completo la capacità di oggettivazione di sé, e il bambino acquisisce la consapevolezza che gli altri hanno pensieri e sentimenti diversi dai propri. E' la fase della vera empatia per lo stato d’animo di un’altra persona. In altre parole, la situazione che l'altro vive, sarà percepita dal bambino come se la vivesse in prima persona.
Dai  5-6 anni in poi, con lo sviluppo di una maggiore competenza linguistica, il bambino interagisce con l’altro in modo più appropriato; mostrano una capacità di discutere le proprie e le altrui emozioni (tale abilità migliora considerevolmente nel corso dello suo sviluppo), e, inoltre, grazie alla capacità di decentramento, sono più abili nell'assumere il ruolo dell'altro, e si rendono conto che comunicare i propri sentimenti ad un’altra persona può farli sentire meglio o può ferire l’altra persona.
L’ultima fase, è definita distress empatico oltre la situazione. Dai 9 anni, i bambini, sviluppano un senso di se stabile, e realizzano che gli altri hanno una propria identità che influenza e può influenzare il comportamento e la risposta empatica. Intorno ai 13 anni, si raggiunge il pieno sviluppo dei meccanismi cognitivi implicati nel processo dell’empatia.  

L’empatia, dunque, è una delle condizioni relazionali senza la quale noi non possiamo sentire, agire, ed essere, e senza la quale noi non potremmo avere la sensazione di fiducia in noi stessi e negli altri, e, ancora, senza la quale noi non potremmo avere sostegno e aiuto nei momenti di difficoltà. Educhiamoci a parlare, con i nostri bambini, delle emozioni, a parlare di ciò fa star male loro e gli altri; questo è un modo efficace per incrementare nei bambini le capacità empatiche, l’altruismo e le competenze prosociali. 

Dott.ssa Stefania Alfano
Psicologa Psicoterapeuta

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