lunedì 1 settembre 2014

La costruzione del Sé

E’ all’interno della famiglia che ciascuno sviluppa il senso di sé, come individuo autonomo che appartiene e può dipendere da un certo gruppo. 
La famiglia d’origine ha un ruolo essenziale nello sviluppo del sè e dell’individuazione. Infatti, alcuni aspetti della nostra personalità vengono rinforzati, altri aspetti, invece, vengono scoraggiati, mentre altri limitati. L'aria che il bambino respira nel suo ambiente familiare porta alla strutturazione di elementi della personalità, del suo carattere, e del suo essere nel mondo. Grande influenza hanno anche i messaggi non verbali, comportamentali e gestuali; il bambino osserva e registra quotidianamente le azioni dei genitori, e, soprattutto, nei casi di incongruenza tra parole e fatti, tenta di dare un significato a quello che vede intorno a sé.
Le relazioni familiari contengono, intessute tra loro, le caratteristiche della sicurezza del legame di attaccamento e dell’intersoggettività. All’interno della relazione si promuove un senso di sicurezza, ognuno conosce/è conosciuto, sente/viene sentito, percepisce/è percepito, dà/riceve in modo che ognuno di queste diadi genera, alla presenza dell’altro, un senso di sicurezza psicologica crescente (Huges, 2007).
L’attaccamento è  un sistema che regola prima di tutto la quotidianità, non ha a che fare con il verbale, è  una procedura comportamentale, è qualcosa che guida il comportamento, è qualcosa ci fa avvicinare a qualcuno che giudichiamo in grado di darci una mano nel momento di difficoltà, una figura protettiva: la figura di attaccamento. Questo avviene in situazioni in cui c’è qualche cosa che ci fa percepire un abbassamento delle condizioni di sicurezza, e noi non ci sentiamo più al sicuro: c’è la sensazione di pericolo e mi avvicino a qualcuno che mi possa proteggere, aiutare, confortare. Quando non ci sentiamo al sicuro emergono precise emozioni che fanno parte di questa  quotidianità; fra queste emozioni prima di tutto c’è la paura in quanto è l’emozione base di attivazione del sistema di attaccamento, la paura come percezione di pericolo.
Il caregiver deve occuparsi della regolazione affettiva del bambino (Taylor et al. 2000), ossia deve fornire risposte adeguate ai suoi stati di attivazione emotiva, soprattutto quando si attiva la paura, anche attribuendo a questi un preciso significato. Questo perché, in un primo momento, il bambino,  non è capace di comprendere e far fronte autonomamente agli stimoli emotivi, o almeno a quelli che superano la sua “finestra di tolleranza” (Siegel 1999), ovvero quelli che risultano essere eccessivamente intensi rispetto alle sue risorse e capacità.
Dall’holding (sostegno) materno, inoltre, deriva l’abilità di tenere se stessi nella propria mente, ovvero, la capacità di autoriflessione e la possibilità di concepire se stessi e gli altri come persone che hanno una mente.  Il Sé si costruisce attraverso il linguaggio e l'azione, consentendo all'individuo di autopercepirsi come un' entità dotata di rilevanza sociale e di assumere il punto di vista dell' altro come criterio per la propria condotta: “Nel corso di questo processo il bambino  diventa gradatamente un essere sociale nella sua stessa esperienza, e agisce verso se stesso in modo analogo a come agisce verso gli altri, e sviluppando questa conversazione nel proprio foro interiore, dà vita a quel campo che è chiamato mente” (Mead,1934).
Quello che l’individuo sviluppa e si porta dentro è una mappa di come vede e percepisce se stesso, gli altri e le sue relazioni. Secondo le parole stesse di Bowlby, “Ogni individuo costruisce modelli  operativi del mondo e di se stesso in esso, con l’aiuto dei quali percepisce gli avvenimenti, prevede il futuro e costruisce i suoi programmi. Nel modello operativo del mondo che  ognuno si costruisce, una caratteristica chiave è la nozione che abbiamo di chi siano le figure di attaccamento, di dove possano essere trovate e di come ci si può aspettare che rispondano. Similmente, nel modello operativo di se stessi che ognuno di noi si costruisce, una caratteristica chiave è la nostra nozione di quanto accettabili o inaccettabili noi siamo agli occhi delle nostre figure di attaccamento” (Bowlby, 1973). 

Dott.ssa Stefania Alfano
Psicologa-Psicoterapeuta

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